The Gamer: una tranquilla passeggiata nel mondo dei videogiochi

Il mondo dei videogiochi è molto vasto e le informazioni che si cercano sono spesso frammentate. Questo costringe i curiosi a lunghe e spesso frustranti ricerche, prima di avere un quadro esaustivo di questo innovativo scenario. Proprio per queste ragioni, ho deciso di indicare a tutti coloro che hanno voglia di esplorare il mondo dei videogiochi a 360 gradi, una via facile e sicura.

Questa via attraversa le strade di “The Gamer” di Rudy Bandiera.

Quando abbiamo deciso di creare il nostro primo gioco, eravamo carichi della nostra esperienza di giocatori incalliti e sviluppatori instancabili, ma privi dell’esperienza necessaria per addentrarci in questa avventura. Avevamo un’idea basata su molti anni passati a giocare, consapevoli però che non era sufficiente e non capivamo bene come muoverci con le nostre nuove proposte. Eravamo di fatto ignari della natura della portata di certi dispositivi che conoscevamo solo come giocatori. Così come i nostri antenati preistorici, abbiamo iniziato a muovere i primi passi fuori dalla nostra caverna, armati di un sano e curioso spirito di esplorazione.

A quel punto ci siamo imbattuti nel podcast di The Gamer: un contenuto audio a puntate distribuito in rete che si è rivelato una vera miniera d’oro di informazioni!

Rudy Bandiera e la sua redazione hanno creato un intero percorso da seguire, facile e completo. Al contrario da quello che può sembrare dal titolo, questo podcast è rivolto proprio a tutti perché è di facile e piacevole comprensione a chi ascolta: ne apprezzano il contenuto sia gli addetti ai lavori sia coloro che sono più lontani dalla tematica e che magari non ne hanno ancora colto il senso o il potenziale.

Nel podcast vengono toccati molti aspetti: dall’analisi dell’impatto dei videogiochi nella nostra società, intervistando sociologi e psicologi, al mondo più estremo degli e-sport, dove ragazzi con un talento per i videogiochi si affrontano in arene virtuali in una sana competizione che non è seconda agli sport considerati più nobili.

Si trovano anche numerose testimonianze di chi, dei videogiochi, ne ha fatto un mestiere come intrattenitore, creatore o altro. Se poi questi aspetti non bastassero, si tocca anche la parte tecnica e tecnologica parlando di console, pc e importanti engine come Unreal e Unity.

Lista episodi:

  • I videogiochi fanno bene o male?
  • Giocare a Fortnite non è un gioco
  • Fare il gamer di mestiere
  • E-sport: giocatori, sportivi, atleti
  • E-sport: manager, business, allenatori
  • Ragazzi che diventano superstar
  • Gli insospettabili: i “seri professionisti” che giocano duro
  • I creatori
  • Dagli FPS agli RPG, i tipi di videogiochi
  • La tecnologia dietro ai videogiochi
  • Business, branding e pubblicità
  • Il futuro

In ognuna delle 12 puntate, si sente la voce di ospiti e testimoni, che grazie ad aneddoti ed esperienze personali, ci fanno interessare al loro punto di vista sui videogiochi grazie ad una condivisione sincera e naturale di riflessioni. Ogni argomento è inoltre supportato da numeri e dati che, non solo offrono maggiore credibilità a quanto ascoltato, ma aiutano a orientarsi e ad addentrarsi al meglio nell’argomento.
Non nascondo che, a volte, i numeri impressionanti possono turbare, lasciandoti incredulo.

Le puntate toccano molte storie personali sullo stile di vita degli addetti ai lavori e sulla loro quotidianità, rendendo molto più reale e tangibile un mondo che prima sembrava distante se non sconosciuto.

Inoltre, a conclusione di ogni puntata, Rudy, insieme ai suoi compari Nick e Leo, provano un nuovo gioco coinvolgente, facendo di noi dei divertiti ascoltatori.

Finito il percorso, ci ritroviamo più consapevoli e preparati su questo mondo, tanto da poter finalmente comprenderne i meccanismi che lo muovono e che lo stanno facendo crescere, riconoscendo infine che i videogiochi sono una delle evoluzioni socialmente più interessanti degli ultimi 30 anni.

Abbiamo avuto la fortuna di poter intervistare Rudy, Leo e Nick, ma prima di raccontarvi il nostro incontro con loro, due parole su questo esuberante trio:

Niccolò Martin (Nick)
Produttore di The Gamer

Produttore di promo televisivi e da qualche anno produttore di podcast. Esperienza nei podcast nata e specializzata con interviste “one to one” per poi passare a lavori molto più complessi partendo proprio da The Gamer.

Leopoldo Di Lenge (Leo)
Progettista del suono

Musicista, sound designer e Insegnante universitario con un forte background musicale.
Molte le esperienze televisive negli ultimi 20 anni, dove ha conosciuto Niccolò.
Anche Leo ha esordito nel mondo dei podcast con la realizzazione di The Gamer e facendo diventare la specializzazione nella realizzazione dei podcast una buona fetta del suo lavoro.

Rudy Bandiera
Divulgatore Sociotecnologico e voce di The Gamer

Non si sente un’etichetta addosso, ma sicuramente è un divulgatore tecnologico ed esperto di social media. È appassionato gamer da sempre.

Come nasce l’idea di The Gamer?

Inizia Rudy a raccontare l’esegesi: “E’ nata quando una sera a cena parlando di un podcast in fase di realizzazione parlavo con Fabio (Original Content Manager di Audible) della mia passione per i videogame, e lui guardandomi mi ha sottolineato che poteva essere podcast fantastico” e così scopriamo che da li è iniziata la stesura di The Gamer come traccia ovviamente e poi le cose si sono evolute.

Cosa vi ha fatto pensare che questa sarebbe stata una buona idea?

Rudy – “La mancanza in Italia di un prodotto di questo genere in modalità e così approfondito. Certo qualcosa era già presente. Ma niente che toccava in maniera così approfondita. Abbiamo fatto un lavoro di fino. Con decine di persone che hanno contribuito, persone che non sempre si espongono, come l’amministratore delegato di Sony Italia. Questo mi ha fatto pensare che fosse una buona idea”.

Nick – “Non c’era però una sicurezza a livello di mercato che sarebbe stata un successo, è stata più a livello personale dove Rudy ha individuato subito il target di questo prodotto, che non era l’appassionato sfegatato o l’addetto ai lavori e io, entravo perfettamente in questo target. Ho un passato da casual gamer, mi è piaciuto molto giocare ai videogiochi in adolescenza. Poi dopo un periodo di pausa guardavo a questo mondo da lontano. Parlando con Rudy dell’argomento mi sentivo da subito molto coinvolto e quindi, se ero coinvolto io da subito, era qualcosa che poteva funzionare”.

Leo anche tu sei un giocatore?

“Si, ho iniziato con il mio Commodore 64 nel lontano 1985 quando mio padre me lo regalò. Per arrivare fino all’esperienza con una PS1 e tante partite con gli amici. Poi ho avuto un vuoto che si è interrotto con l’arrivo di mio figlio che è un gran giocatore di Fortnite. Come si sente nella seconda puntata di The Gamer”.

Anche questo lo abbiamo trovato un bell’intervento nella serie, genuino e simpatico.

Leo – “Adesso invece ho ricominciato a giocare, certo non ho molto tempo e con i miei 45 anni di età non ho la prontezza necessaria per le nuove dinamiche di gioco”…e con questo commento scattano le risate degli altri due e chissà cosa sottolineano 😊

Leo – “Però devo dire che questo rinnovato interesse per i videogiochi mi ha riaperto una serie di interessi da un punto di vista professionale, per il mio ruolo di sound designer. Come la cura del suono, le dinamiche sonore all’interno dei videogiochi. Soprattutto sulle musiche e recentemente ho rifatto un disco ispirato alle musiche di Red Dead Redemption 2”.

Album “The Prairie Mysteries – Last Wild Place” che può essere ascoltato sia su Spotify che su Amazon.

Album che ho ascoltato e contiene tutto il fascino dei grandi paesaggi e la bellezza del viaggio. Molto coinvolgente.

Quanto è durata la preparazione di The Gamer?

Subito Nick non esita a rispondere: “Nove mesi, come un figlio. Non ovviamente tutti i giorni 8 ore. La produzione ha avuto dei tempi fisiologici da rispettare. Tieni conto che ci sono 12 puntate con all’interno dalle 3 alle 5 interviste per puntata. Interviste che appartengono al mondo dei videogiochi ma con background differenti. Con la difficoltà di contattare e convincere alcuni di loro. A volte abbiamo dovuto adottare delle tecniche molto differenti. Con alcuni bastava una chiamata per accordarsi per l’intervista, con altri abbiamo dovuto ‘mercanteggiare’ e lavorare in maniera diversa. Soprattutto per spiegare il progetto che avevamo in mente che non era di immediata comprensione per tutti. In definitiva diciamo che la fase iniziale è stata macchinosa per la fase di produzione. Dopo la preparazione di ogni puntata servivano per le successive nuove idee e Rudy si è dato un sacco da fare soprattutto durante la registrazione. Si può dire che ha il dono dell’intervista, gli veniva molto naturale e in pochi minuti preparava cose che a me sarebbero riuscite dopo mesi di preparazione”.

Quindi possiamo dire che c’è stata una regia condivisa?

Prosegue Nick: “Si, assolutamente, la parte di creazione parte dall’idea di fare un’intervista a delle persone che ci interessano nel mondo dei videogiochi. Rudy aveva l’idea delle 10 puntate come 10 livelli di un videogioco. Abbiamo anche inserito dei popup sonori che interrompono il flusso della puntata ma che danno la spiegazione di ciò che viene detto. Perché ci siamo immaginati i nostri futuri ascoltatori che magari non avevano idea di che cosa fossero acronimi, titoli, date o termini tecnici e che rischiavamo di perderci per strada. Sono tutti meccanismi che ci sono venuti costruendo la puntata e costruendo il podcast. E’ stato molto bello viverli e crearli insieme.

Avete avuto momenti di forti divergenze?

Rudy – “No forti no, assolutamente, credo che un progetto di questo tipo lo si possa fare solo se si è allineati sotto macro punti e quindi abbiamo ovviamente avuto delle divergenze. Nel senso che per me, magari non andava bene una cosa e viceversa, ma tutte cose normali. Anche perché ognuno ha la propria professionalità e quindi ad esempio io non me la sento di mettere il naso in quello che fa Leo perché è lui l’esperto”.

Nick – “Ho notato in Rudy una forte capacità nel gestire quello che veniva da lui e una sensibilità invece per le professionalità altrui. Io penso di non aver mai lavorato con nessuno con un rispetto così profondo e devo dire, per esperienza, che quando si lavora così tutto fila liscio e il risultato è buono. Per me alla fine era incredibile come tutto andasse e si incastrasse e sembrava tutto in discesa”.

Leo- “Il Podcast può diventare un prodotto che allontana, specialmente con questa tipologia di argomento, soprattutto perché potrebbe essere un prodotto di nicchia e troppo settoriale. Invece siamo riusciti a confezionare un qualcosa che va bene sia per gli esperti che per i profani dell’argomento. Ed è diventato un prodotto accessibile a tutti. Direi che è un podcast con un colore diverso”.

Il mainstream del podcast è la considerazione che i videogiochi hanno nella società… è qualcosa che si sta modificando? C’è una considerazione diversa?

Rudy – “Secondo me, si. Per un motivo di sostanza che ne genera degli altri, in pratica per la prima volta abbiamo una generazione che è cresciuta con i videogiochi ed è diventata adulta e quindi è stato sdoganato tantissimo quello che riguarda il mondo dei videogiochi perché non c’è una separazione generazionale. I quarantenni di oggi sono persone che hanno giocato da sempre e quindi vedono questo mondo con una considerazione meno ‘bambinesca’. Aggiungendo inoltre un dato importantissimo, che le grandi aziende si sono accorte che c’è un business gigantesco attorno e quindi stanno prendendo molto seriamente la cosa.

Ad esempio in questi giorni sto analizzando il mondo delle criptovalute e ci sono alcune proposte di utilizzare una criptovaluta per gli scambi all’interno dei videogiochi. Un’unica criptovaluta che viene utilizzata all’interno di tutti i videogiochi. Proposta che arriva da IBM. Che se fa questo tipo di considerazione e se verranno create delle criptovalute, per me è cambiato proprio l’approccio che la società ha nei confronti dei videogiochi. Però è anche vero che non è cambiato completamente perché abbiamo tanta gente che ha una vecchia concezione dei videogiochi. Anche Responsabili marketing o amministratori delegati di grandi aziende. Ma credo che sia solo una questione generazionale che tenderà a finire. Noi secondo me abbiamo anticipato i tempi con questo progetto”.

I videogiochi educativi non sono frequenti, secondo voi potrebbero essere un’idea utile?

Rudy- “Questo, estremizzato, è lo stesso discorso per il quale il programma Nettuno trasmesso alle 2 di notte sulla Rai non lo guarda nessuno, perché è noioso. Quindi il rischio è, che il videogioco educativo rischia di essere interpretato come noioso e molte volte è prodotto come tale. Bisognerebbe fare qualcosa che si avvicini sia al mercato che al mondo dell’educazione. Ma è veramente complicato”.
Nick – “Di fatto tutte le volte che un gioco introduce una parte fortemente educativa risulta rovinare il prodotto”.
Rudy – “è l’alchimia che manca in questi casi, di fatto, non è ancora stata trovata”.
Nick- “Forse andrebbe preso al contrario l’argomento, quindi è la gamification di cui parliamo in the gamer che deve entrare nella parte educativa. Non sono i videogiochi che devono educare, ma sono i meccanismi dei giochi che devono entrare nel mondo educativo”.
Leo – “Dalla mia esperienza di padre ti posso dire che secondo me un gioco educativo dovrebbe: implementare le dinamiche ‘poco educative’ dei giochi con tutti gli elementi educativi che ti servono per portare qualcosa. La capacità di apprendere tramite i giochi è amplificata, logico che lo devi mettere in un contesto educativo mantenendo quelle dinamiche che lo portano a collegarsi tutti i giorni con i suoi amici per giocare insieme. Ad esempio come insegnante universitario ho riscontrato più successo nelle mie lezioni nel momento in cui le ho rese più divertenti e non soltanto nozionistiche. Credo che questa sia la parte più difficile”.
Rudy – “Credo si debba anche capire cosa voglia dire educativo. Ad esempio secondo me Detroit Become Humans è un gioco che può essere considerato educativo, ha una forte componente di educazione civica”.

Se dovesse scegliere un personaggio famoso a cui fare ascoltare The Gamer?

Rudy – “Per la ricaduta che potrebbe essere sulla nostra società in questo momento mi viene in mente Mario Draghi, so che potrebbe sembrare esagerato”.
Leo – “Credo che sceglierei sia i genitori dei ragazzi che i ragazzi stessi. Potrebbe essere molto utile per chiarire molte dinamiche che ci sono in questo mondo”.
Nick – “Se c’è un problema che The Gamer ha, è che si capisce da subito che parla di videogiochi e che per una persona che non gioca ai videogiochi è paragonabile ad un muro”.

Parlando di persona al di là del muro di tutti gli haters che sicuramente avrete incrociato dopo la pubblicazione dell’opera…qual è stata la critica più costruttiva e quale invece quella che vi ha infastidito?

Rudy – “Io sono stato quasi violentemente criticato da una cricca di iper-esperti che credono che la comunicazione sui videogiochi sia soltanto a loro appannaggio. Questo perché quando provi a fare un prodotto mainstream in un ambiente che di mainstream ha avuto poco, quella nicchia che ha fatto per prima divulgazione si sente in qualche modo oltraggiata da qualcuno che viene da fuori”.
Nick – “Dal mio punto di vista il problema che questo prodotto ha è sempre quello: che i videogiochi per chi non li conosce vengono sempre considerati un inutile passatempo e non vengono per nulla percepiti tutta quella connotazione di crescita e di nobilitazione di quella parte del tempo che tu dedichi al passatempo e allo svago. Perché è vero che è uno svago…ma non lo è anche leggere?”.

Leo – “Vorrei dire qualcosa riguardo agli haters. Partiamo dal presupposto che sono ignoranti, per cui non avendo argomenti visto che non conoscono quello di cui si sta spesso criticando il lavoro degli altri e i punti di vista che vengono esposti in questo podcast. L’ignoranza parte dal fatto che ad esempio molte persone che criticano Fortnite per la violenza a cui espongono i loro figli dopo li fanno giocare a GTA sempre per l’ignoranza o perché magari era incluso nel bundle della console”.

Per i giocatori più esperti è semplice individuare il gioco creato per “monetizzare”, quello che si vede giocando e che non ha anima e soprattutto sfrutta idee di altri giochi. Un consiglio su come individuarli prima dell’acquisto?

Rudy – “Molto complicato, soprattutto per la fascia di acquirenti adulti. Una considerazione che facevo con la redazione di everyeye è che non esiste ad oggi un riferimento che possa guidare un adulto all’acquisto dei suoi primi giochi”.
Nick – “Il mio consiglio è per chi non è un esperto di non concentrarsi sull’acquisto dell’ultimo titolo uscito, ma di selezionare qualche titolo un po’ datato ma sempre avvincente e finito quello ritroverà il gioco a cui era interessato prima ad un prezzo più abbordabile”

Che tipo di eredità The Gamer lascerà nella mente dei vostri ascoltatori?

Rudy-“Ho una parola che può rispondere. Consapevolezza. Se passa questa cosa abbiamo vinto tutto”.
Leo – “Spero la sensazione che sento io, quella di essere un genitore migliore”.
Nick – “Anche a me ha dato delle certezze in questa direzione, cose di cui provavo simpatia sono state certificate su diversi fattori. Mi ha dato un grande respiro per il futuro anche dopo che abbiamo parlato con imprenditori che hanno voglia di investire nel futuro. Dove il videogioco è una piccola parte… mi fa dire che allora c’è materiale e spazio. Non solo economico, ma anche culturale”.

E per finire un’ultima domanda, prevedete un The Gamer 2?

Nick – “No, ma non ci dispiacerebbe”.
Rudy – “Forse in un’altra forma”
Nick – “Ci siamo resi conto durante la realizzazione che forse ci starebbero bene degli spin-off. Perché ogni argomento trattato diventava talmente grande che avrebbe meritato più spazio”.

L’intervista è finita, ancora una volta mi ritrovo con un nuovo apprendimento e soprattutto scopro di avere conosciuto delle persone limpide e gentili. Abbiamo tanto bisogno di questo genere di cose.

Un saluto dal vostro sviluppatore
Lothar

 

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